venerdì 1 maggio 2009

SANTI E SETTE DI SETTORE


L'esercizio della critica televisiva è oggi sicuramente neutralizzato di gran lunga dall'onnipresenza della televisione oramai in quasi tutte le pagine dei quotidiani. Appare in sottotraccia nella cronaca, nella politica, nel costume, nella cultura e, naturalmente, nelle pagine degli spettacoli dove già ampiamente sovrasta spesso l'informazione sul cinema, il teatro, gli appuntamenti musicali, di cui spesso la ripresa televisiva assume maggiore evidenza dell'evento in se stesso.

Di conseguenza lo spazio della critica televisiva è stato via via eroso dalla celebrazione della televisione e quindi emarginato all'estrema periferia del giornale, in contiguità con i tamburini dei programmi del giorno. Dalla seconda parte degli anni ‘90, l'importanza del critico televisivo si è sicuramente ridimensionata rispetto ai decenni precedenti. Nella sua accezione più remota questi si improvvisava in una figura redazionale che applicava, a un mezzo di limitato valore artistico, analisi, criteri e metodologie propri della critica teatrale o cinematografica.

Agli inizi degli anni ‘60 i quotidiani iniziarono ad affidare a firme illustri del cinema o della letteratura il compito di criticare la televisione e solo negli anni ‘80 lo strumento critico si affina e si modella sul mezzo preso in esame, elaborando un modello di analisi che non si limita a stabilire il bello o il brutto della produzione televisiva, ma si sforza di integrare l'evento televisivo nell'attualità sociale e culturale in cui si produce. La fase successiva è quella dei critici puri, esperti di televisione, che spesso hanno una formazione universitaria e il piglio tipico del professore che ha di fronte non un pubblico di lettori, ma allievi che ascoltano una sua lezione.

La fase terminale della critica televisiva, e della sua funzione di riflessione analitica, è infine quella in cui ci si limita a riportare i risultati dei programmi del giorno precedente in termini di dati Auditel. Sulle percentuali di share si articola un commento in cui si rinuncia alla propria autonomia di giudizio, un po’ come chi giudica il valore delle squadre di calcio sui risultati della schedina.

Non è difficile stabilire le ragioni di una così rapida eclissi di questo genere giornalistico rispetto alla longevità, anche se con una notevole perdita di autorevolezza, della critica cinematografica, musicale o letteraria che l'hanno preceduto nel tempo sulle pagine dei quotidiani. La televisione stessa rende difficoltosa l'evoluzione della riflessione critica sui suoi stili e sulla sua produzione. L'imperio del format ha determinato un'omologazione impressionante del prodotto, soprattutto laddove la concorrenza tra le reti e gli editori non è combattuta sul terreno dell'inventiva, ma piuttosto sulla reiterazione dei programmi di successo con minime variazioni di confezione. Di conseguenza la vena analitica si smorza nel tedio della reiterazione e perde aggressività e verve, di conseguenza il giornale la sopprime per scelta editoriale, considerando a quel punto più appetibile per il lettore una maggiore informazione su pettegolezzi, indiscrezioni e piccole polemiche tra reti, direttori e personaggi televisivi. In altri casi lo spazio riservato alla critica della televisione spesso si muta in terreno d'incrocio tra messaggi subliminali, comprensibili solo agli addetti ai lavori, passioni o livori personali del critico stesso o del suo editore di cui velatamente rappresenta gli interessi, quando non si trasforma in potente moneta di scambio per piccole collaborazioncine occulte con l’odiata tv da svolgere in proprio o appaltare ad amici e parenti.

Questo e anche di più accade, da una parte per commistioni sempre più evidenti tra grossi gruppi editoriali, televisione e politica. Dall’altra parte per l’altissimo significato sociale che oggi comporta averci a che fare con il “mondo della televisione” anche nei suoi indotti più remoti e periferici. È inoltre assai frequente, da parte di chi dovrebbe occuparsi esclusivamente di critica, il passare disinvoltamente a interventi di recensione o addirittura di promozione di programmi televisivi, tradendo così la naturale vocazione del suo esistere. È poi crollato da qualche tempo il voto di astinenza da parte del critico nei confronti di ogni contaminazione personale con il bersaglio dei propri interventi, questo soprattutto dopo la nascita di una recentissima generazione di autori di varietà televisivi ex critici televisivi ed ex soloni della "cattiva maestra". (scritto nel 1999)


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