venerdì 1 maggio 2009

AUTOPSIA DELLA TELEVISIONE

E' possibile stabilire una paradossale equazione: tanto più sarà articolata e profonda la riflessione critica su qualsiasi segmento del divenire televisivo, tanto più si contribuirà a dargli dignità ed esistenza anziché smascherarne l'oggettiva vacuità.

Da parte mia ho da sempre rigettato quella sorta di voto di castità maledetta a cui vorrebbe far credere di ottemperare ogni analista della televisione. La verginità, spesso molto fieramente ostentata, da contaminazioni carnali con l'oggetto della severa contemplazione cela ancor più sovente innominabili appetiti e vergognose lussurie. Non ho disdegnato ogni volta che ne avevo il desiderio di verificare concretamente la vertigine e lo spaesamento del trapasso oltre il confine del monitor che osservava e da cui si sentiva a sua volta spiato.

Sono convinto che sulla visione elettronica non sia possibile elaborare mai teorie finali, ma soprattutto penso che l'evento televisivo, il divenire televisivo sfugga alla capacità umana di prevederlo, determinarlo e classificarlo. Vedere la televisione è diventato ormai per me un esercizio ascetico, viola anche limiti fisici e corporali. Anche perché guardare tutta la televisione possibile al di là di un proprio criterio estetico, cioè non guardare ciò che piace, quello che appaga, guardare tutto, anche ciò che fa orrore, o semplicemente annoia o che comunque incuriosisce per quello che in altri tempi ho classificato come effetto gatto spiaccicato, somiglia molto a certe pratiche mistiche.

In certi ordini monastici, quando muore un confratello, o una consorella, gli altri sono obbligati, a contemplare come esercizio, come memento mori, il disfacimento del cadavere di quello attribuendo a ognuna delle fasi della putrefazione del corpo un momento di passaggio dell'anima inquieta o appagata. L'effetto gatto spiaccicato è molto più moderno, ma si sperimenta più o meno attraverso una dinamica simile. Capita, guidando lungo la strada, di vedere un gatto morto, su cui sono passate già diverse automobili deformandolo, rendendolo qualcosa di non più organico, un oggetto che tende all'immaterialità, la spoglia rivela la sua funzione di scatolame vuotato del contenuto, sulla via del definitivo riassorbimento nei vari elementi naturali. Tale visione ci provoca smarrimento, ci fa orrore, però non possiamo fare a meno di guardare, di seguirne il veloce passaggio sulla striscia d'asfalto, addirittura ci voltiamo rischiando noi stessi di avere un incidente, di morire.

È un momento di forte pericolo, ma di attrazione fatale verso l'orribile che ci disgusta, ci atterrisce però ci attrae, come un presagio che rompa la monotonia del paesaggio. Questo è l'atteggiamento nei confronti del divenire televisivo: trasformare la macchina del sogno ammorbidente, del sogno catalettico, com'è nell'uso corrente la televisione, in una macchina di stimolo, in una macchina che ci trascini in repentine e inaspettate rotture di livello, dalla catalessi all'intuizione di una realtà adombrata, una sorta di universo simbolico da interpretare. In questo senso, allora, è possibile attribuire dei significati metaforici ai programmi e alla loro dissezione in personali e improvvisi zapping intesi come derive apparentemente casuali a cui si abbandona il "visionatore" televisivo. Quanto più si sarà entrati in contatto epidermico con questo universo di immagini apparentemente senza senso, tanto più si accenderanno delle intuizioni insospettate all'interno della prevedibilità narrativa.

Chi segue tale modalità teleutente ha spesso la sensazione di aprire un "occhio" particolare sul flusso televisivo, certe prospettive non vengono messe a fuoco ad una prima visione, normalmente nessuno guarda la televisione come un universo da decifrare. Spesso ogni analisi si ferma alla superficie, a quello che appare nel progetto della macchina produttiva, ma è la cosa forse meno interessante della televisione.

Per questo io dico che bisogna operare una sorta di autopsia, la televisione va smontata, va destrutturata, va sciolta nei suoi componenti, che occorre poi ricollocare in dei percorsi individuali. Non per capirne il significato, ma perché ciò risvegli in noi una capacità di osservazione, e quindi uno strumento critico.

Quale altra "foresta di simboli" abbiamo oggi a disposizione se non la ricostruzione sintetica della natura che genera quella macchinetta delle meraviglie che è la televisione? Tale paesaggio dobbiamo decifrare. C'è il passare indifferente del viaggiatore frettoloso e c'è colui che invece si ferma a guardare il mutare dei luoghi che attraversa e pensa ai profondi collegamenti tra chi li abita e vive e le mutazioni dell'ambiente che lo circonda. Guardare la televisione assieme a questa riflessione significa trasformare quello che viene considerato uno strumento di distruzione, di catalessi, di oblio, in uno strumento, se possibile, di pur profana conoscenza. (scritto nel 1999)


2 commenti:

  1. A me capita di vedere tv spazzatura, non sentirmene affatto fiera, ma restare come inebetita, ipnotizzata, magari ripetendo a me stessa "non è possibile"...più per moralismo che per altro.
    ecco, comprendo l'operazione quasi chirurgica che descrivi (descrivevi). mi chiedo però quanto sia fattibile visto l'uso da encefalogramma piatto che, in genere, se ne fa. molto faticoso decomporre, analizzare, scomporre e ricomporre i 'pezzi': e poi? alla fine? che resta?

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  2. resta una lucida connessione con la contemporaneità.

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